Notizia del 17/12/2006
Probabilmente non camminavo ancora perché ero nelle sue braccia. Faceva freddo e c'era un albero diverso da quelli che già conoscevo. Era, ne sono certa, un salice piangente. Avevamo dormito in un albergo tra Bruxelles e cannes, dove passavamo l'estate, e papà era sceso in un prato pe mostrarmi le pecore. Ma era il calore del suo abbraccio che mi rendeva felice.
Questa autobiografia di Fabiola De Clercq proietta il lettore nel cupo mondo dell'anoressia e offre uno strano spaccato di vita visto attraverso e in funzione del disturbo: per la protagonista non esiste nulla al di fuori dell'evitare il cibo – o dell'ingozzarsi di esso nei periodi di bulimia – e malgrado la storia si dipani su più lustri e nel frattempo Fabiola si crei una famiglia, abbia dei figli e una carriera, si sente solo un'eco lontana di tutto questo e solo attraverso il pensiero costante e assillante del peso, del cibo, della percezione di se.
Notevole: racconto veramente vivido e impressionante nella sua angoscia, nella ricerca di un aiuto mai sufficiente per sfuggire del tutto al male soprattutto perché il vero aiuto deve arrivare da dentro.
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