Notizia del 10/03/2007
Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacchiato. E' stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.
Scrivevo non più tardi di qualche giorno fa che normalmente non ho grande passione per gli scrittori mediorientali e invece Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini mi ha fatto ricredere.
E' la storia di un Afghanistan molto diverso da quello che sentiamo descrivere ogni giorno al telegiornale, dove il verde dei prati e l'ombra degli alberi ancora occupavano il terreno ormai arido e il posto delle carcasse di trent'anni di guerra.
Due ragazzini cresciuti assieme, ma ognuno ben cosciente del proprio status sociale, le cui strade a un certo punto si dividono drammaticamente per la vigliaccheria di uno dei due, vigliaccheria che avrà un grande peso sulla vita di tutti, di egli stesso in primo luogo fino a quando molti anni dopo riuscirà a riscattare un'azione vile fatta per ottenere l'amore di un padre apparentemente perfetto, perennemente insoddisfatto del figlio così diverso da lui.
Era un sacco che un libro non mi faceva perdere la notte per poterlo finire: questo c'è riuscito.
E' un libro duro che di sicuro non usa le metafore per nascondere verità crude e crudeli e mostra - se mai ve ne fosse stato il dubbio - come la popolazione abbia subito senza comprendere guerre e invasioni desiderando invece spesso solo una vita tranquilla, senza eccessi e di come chi più ne ha patito e ne stia patendo siano i bambini: schiavi, giocattoli, numeri.
Terribile.
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