Notizia del 19/02/2007
Caro Alec, se non hai distrutto questa lettera appena riconosciuta la mia grafia sulla busta, è segno che la curiosità è più forte dell'odio. O che il tuo odio ha bisogno di nuovo combustibile. Adesso impallidirai, stringerai le mascelle da lupo come fai sempre, sino a far scomparire le labbra, infine ti accanirai su queste righe per scoprire ciò che voglio da te, che cosa ho l'ardire di chiederti dopo sette anni di assoluto silenzio fra di noi.
Non è tanto la storia in se a essermi rimasta impressa di questo libro, storia di un matrimonio naufragato e di un figlio cresciuto senza regole, quanto l'ambiente in cui la stessa si svolge: i kibbutz israeliani degli anni '70 di cui spesso ho sentito parlare, ma di cui non avevo mai letto nulla.
Il libro ha toni cupi ed è costruito come una raccolta epistolare: tutta la vicenda e la vita dei personaggi è narrata attraverso le lettere che si scambiano l'un l'altro e che parlano dei fallimenti, degli obiettivi raggiunti, di quelli mancati e di quelli cambiati strada facendo in un continuo districarsi di emozioni che non sono semplicemente mostrate, ma sono sbattute in faccia al destinatario della lettera e di conseguenza al lettore.
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Commenti
1 - Scritto da Marco GRAZIA il 22/02/2007 alle 11:24
Prova a leggere anche questo giallo che si svole in un Kibbutz.
Professine giornalista di Shulamit Lapid
2 - Scritto da reb il 22/02/2007 alle 12:43
segnato!