Notizia del 31/10/2006
Il terzo occhio racconta la formazione di un Lama tibetano, T. Lobsang Rampa, a cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo scorso.
Ho letto un po' di recensioni, in rete e c'è chi ne parla come di un libro assolutamente da non perdere, chi lo dichiara falso: beh, se proprio devo schierarmi non ho dubbi e mi metto senz'altro dalla parte dei primi: anche se la storia è frutto d'invenzione, ho trovato veramente interessante immergermi in un mondo e in riti che mi sono così lontani sia geograficamente che culturalmente.
La vita nel Tibet - e quello d'allora probabilmente ancor più di quello di oggi - è dura e ritmata da un clima severo che non lascia spazio alla pietà: un posto dove il neonato debole è da sopprimere, dove non c'è posto per la pietà come l'intendiamo noi.
Detto così sembra crudele, ma non lo è affatto e malgrado sia nata e cresciuta in una società dove il debole è da difendere, lo scrittore è riuscito a trasmettermi perfettamente le ragioni di determinate scelte che potrebbero sembrare inacettabili se misurate col nostro metro.
Non lo so se il libro parli di una storia vera o meno e sinceramente mi interessa poco, perché ciò aggiunge o toglie ben poco al quadro complessivo di questo Tibet tanto nominato, ma altrettanto sconosciuto.
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