Notizia del 04/01/2007
A undici anni ho rotto il porcellino e sono andato a puttane. Il porcellino era un salvadanaio di ceramica lucida color vomito, con una fessura che permetteva alle monete di entrare ma non di uscire. L'aveva scelto mio padre, quel salvadanaio a senso unico, perché corrispondeva alla sua concezione della vita: il denaro è fatto per essere conservato, mica speso. Nelle viscere del porcellino c'erano duecento franchi. Quattro mesi di lavoro.
Un ragazzino cresciuto troppo in fretta in una famiglia regolare che a ben vedere molto regolare non è, con un padre arido e incapace di dare affetto a quel figlio che vede solo come una responsabilità troppo costosa e una madre che a un certo punto non ce l'ha fatta più e se n'è andata, spegnendo il poco calore che c'era in famiglia.
Poi un giorno non c'è più neanche il padre e questo ragazzino si ritrova a doversi arrangiare, inconsapevole che "l'arabo" che guarda con diffidenza e preconcetti e che gestisce la drogheria sotto casa, in realtà sa molte più cose di quante sembra e tiene d'occhio il ragazzino che a poco a poco trova nel vecchio bottegaio un amico e una famiglia.
Potrebbe sembrare una favola buonista, ma non lo è: il racconto si dipana con dignità e con pudore e i personaggi sono molto reali, con i loro pregi, i loro difetti e le storie che ne hanno fatto quel che sono. Dal libro, scritto da Eric-Emmanuel Schmitt è stato tratto un film con Omar Sharif.
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