Notizia del 09/02/2007
In una giornata estremamente calda del principio di luglio, verso sera, un giovane scese in strada dalla stanzuccia che aveva in subaffitto nel vicolo di S. e lentamente, come fosse indeciso, s'avviò verso il ponte di K. Per la scala, evitò felicemente l'incontro della sua padrona di casa. La stanzuccia di lui veniva a trovarsi proprio sotto il tetto di un alto casamento a cinque piani e rassomigliava a un armadio più che a una dimora. La padrona che gliela affittava, vitto e servizio compresi, abitava una scala più in basso, in un quartierino separato, e nel discendere ogni volta in strada egli era costretto a passare dinanzi alla cucina ella padrona, la cui porta era quasi sempre spalancata sulla scala.
Uno dei libri che ogni tanto leggo "perché bisogna", cioè perché ne sento spesso parlare senza sapere di cosa trattano e decido di scoprirlo e a differenza di quanto m'è capitato con tanti altri letti per le stesse ragioni (tra tutti gli insopportabili "Il piccolo principe", "L'insostenibile leggerezza dell'essere" e "La coscienza di Zeno"), con questo non sono rimasta delusa.
La storia è piuttosto anacronistica o forse lo sono i sentimenti del protagonista; il giovane infatti commette un delitto quasi d'impulso e non riesce a darsene pace: i rimorsi e la fatica di mantenere il segreto lo distruggono fisicamente, fino a fargli perdere la salute e a lasciarlo come un guscio vuoto; la sua ripresa inizierà nel momento in cui riuscirà a confessare il suo delitto e a pagare per esso.
Non sono granché amante degli scrittori russi e li leggo raramente, ma "Delitto e castigo" - scritto nel 1866 da Fedor Dostoevskij - avvince e fa riflettere per tutte le sue 654 pagine.
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